Il primo parte della seconda giornata del Meeting si apre con l’intervento della professoressa Paola Milani, che pone il focus sulle nicchie sociali che si vengono a creare intorno a bambini di età compresa fra gli 0 e i 3 anni.

Viene spiegato come fino a qualche tempo fa i laboratori di ricerca deputati allo studio della psicologia infantile si siano chiesti se contasse di più la natura genetica o la cultura di un bambino nel descrivere la sua condizione di svantaggio.
Questo perché il principio alla base dello studio consisteva nell’idea che un minore, nascendo nella “parte sbagliata” del mondo potesse soffrire di situazioni di svantaggio permanenti.

Attualmente, invece, è stato provato che si tratta di un quesito obsoleto.
Non è più possibile considerare la condizione genetica di un minore come tratto a sé stante nella definizione del suo svantaggio, in quanto influisce solo in piccola parte.
Infatti, è l’ambiente socio-familiare in cui il minore stesso cresce che modella i suoi stessi genomi.

La professoressa, per avvalorare la tesi, pone in contrapposizione due diversi studi.
Il primo, dello psicologo inglese Cyril Burt, risalente agli anni ‘20 del Novecento, sosteneva che fosse la povertà a causare carenza di intelligenza scolastica nel minore. Questo studio dà per assunto che se lo sviluppo avviene in ambienti facoltosi maggiore sarà la readiness scolastica.
Tuttavia negli anni si è giunti alla conclusione che questa teoria non fosse del tutto esatta, in quanto né l’agio né la povertà possono essere ritenute condizioni ambientali educative.

Lo studio del Premio Nobel James Heckman, economista e statistico, arricchisce il dialogo sulla povertà educativa ponendo l’accento sull’importanza dei servizi socio-educativi nello sviluppo dei bambini in fascia di età 0-3 anni.
A sostegno di ciò dimostra come i fondi dedicati a tali servizi per l’infanzia non siano considerabili come spese bensì come investimenti. Asserisce che ogni dollaro di PIL investito in servizi educativi nell’area 0-3 frutteranno 7 dollari in futuro. Questa analisi porta alla conclusione che non investire nell’educazione nei primi anni d’età può compromettere la riuscita del sistema sociale.

Nei primi anni di vita la capacità del cervello umano di modificarsi è prodigiosa e diminuisce nel corso del tempo. Gli interventi nell’area 0-3 non hanno eguali. L’area di investimenti è estremamente profittevole.
Viene portato alla luce un esempio lampante a dimostrazione di quanto studiato: a seguito della caduta del Muro di Berlino è emerso come numerosi minori nelle zone dell’Est Europa presentassero attività cerebrale limitata. Questo perché cresciuti in ambienti non responsivi come gli orfanotrofi.
L’attività cerebrale dei primissimi anni incide su tutto ciò che verrà dopo. Infatti, dalle scansioni elettroencefalografiche di bambini istituzionalizzati di 8 anni risulta che chi è rimasto fino a quest’età in orfanotrofio presenta maggiori deficit rispetto ai bambini dati in affidamento prima dei 2 anni.

La negligenza (composta dalla negazione nec e legĕre; “non accogliere”) è una forma di maltrattamento passiva indicata dall’OMS che ha un impatto severo sullo sviluppo dei bambini. La carenza di risposte positive ai bisogni di sviluppo da parte delle figure genitoriali/territoriali/ambientali incide significativamente sulla loro vulnerabilità rendendoli invisibili. Secondo l’OMS le forme di maltrattamento attivo come la violenza fisica o i maltrattamenti psicologici non sono allo stesso livello della negligenza. Questo perché le forme attive vengono notate con maggior semplicità rispetto alle forme passive, che agiranno con maggior impatto sullo sviluppo del minore.
Dai concetti proposti da Heckman si deduce come una maggior educazione comporti una maggior equità e integrazione sociale limitando al massimo le disuguaglianze. Una maggior importanza data al settore psico-sociale nella società moderna garantisce uno sviluppo della persona più sana sia dal punto di vista fisico sia dal punto di vista relazionale con una propensione ad avere esperienze sociali positive.

Chiude il dialogo con una slide in grado di raccogliere e riassumere l’intervento indicando cinque buone notizie:
1. La povertà non è un destino;
2. L’intelligenza non è un’eredità: le abilità si formano, contano molto, sono molteplici e dipendono dal complesso dell’educazione cui il soggetto ha la chance di accedere;
3. La distinzione nature vs nurture è obsoleta;
4. La riuscita scolastica non è una fortuna
5. La malattia non è inevitabile.

Essendo più vulnerabili in contesti vulnerabili e non essendo la vulnerabilità stessa una condizione propria del singolo, bensì una condizione in potenza, si può agire in prevenzione sull’ambiente e sulle capacità degli adulti di prendersi cura dei bisogni dello sviluppo dei bambini.