L’intervento di Daniela Lucangeli, professoressa di Psicologia dello sviluppo presso l’Università degli Studi di Padova, esperta di psicologia dell’apprendimento e autrice di numerosi contributi sul tema, riesce a dare stimoli preziosi agli obiettivi del Meeting Città Sane.

L’intervento, dal titolo “La mente sente… ed io? Saper educare l’Intelligenza Emozionale”  porta gli ascoltatori a interrogarsi sul concetto di salute, sulle responsabilità educative e su come l’Emozione sia contenuto e strategia per supportare lo sviluppo sano di bambini, adolescenti e giovani.

Partendo dall’assunto che la mente non sia separata dal corpo, ma anzi, che ognuno sia un intero inserito nel sociale, Lucangeli riporta la definizione di salute dell’OMS, che la considera come “l’equilibrio tra salute psichica, fisica e sociale.”

Se il nostro corpo è un intero inscindibile succede che, se sta male una parte, sta male anche il resto. In questo senso la pandemia ha sottolineato il fondamentale elemento del nostro sé sociale: la nostra specie sopravvive con la socialità, siamo talmente interconnessi che il respiro dell’altro mette a rischio se stessi.

Se mente, corpo e società sono un intero, una rete inscindibile, allora per proteggere collettivamente la salute abbiamo bisogno di fare ed essere “rete sana”. Lucangeli porta nel suo intervento definizioni fluide e suggestive della mente: il cervello non è un organo, ma un radar, un trasformatore di fenomeni corporei, mentali e relazionali, e che arriva a muoversi fino alla periferia del nostro corpo. La mente non è solo nell’organo “brain” , ma anche in tutti gli altri apparati e, attraverso queste connessioni neuronali finissime, ci relazioniamo col mondo, con quella che è la nostra mente allargata: la mente sociale.

Per parlare di salute e di “reti sane” dobbiamo dire basta al dualismo corpo mente: ci son voluti milioni di anni di evoluzione per questa integrazione , é il concepire le nostre parti come scisse che ci fa ammalare.

Come si agisce da “rete sana” in ambito educativo?

Lucangeli parte dal significato delle esperienze dolorose, parlando delle cicatrici. La cicatrice è il segno che allerta e ricorda al corpo (di cellula in cellula, nel ciclo continuo di produzione cellulare) che c’è stato dolore, che c’è stato (e ci potrà essere ancora) una situazione di pericolo da evitare. E non si parla solo di cicatrici sul derma, ma anche di tutte le cicatrici psichiche, dell’anima e del cuore, che allertano il sistema nella sua interezza sulle situazioni. Nella vita riceviamo continuamente degli alert che generano ansia e angoscia. Se le nostre memorie sono piene di alert il “sistema mente” ha un futuro difficile da raggiungere. Il sistema educativo deve essere in grado di prevenire tutto questo: proteggendo le reti delle memorie, accumulando informazioni positive nelle cellule e dell’anima, che non allertino il sistema ma lo facciano stare nel mondo, nelle situazioni, nelle novità. Il sistema educativo deve fare in modo che questi alert possano limitarsi a quelli essenziali, quelli cioè che servono per evitare concretamente i pericoli.

Dobbiamo avere a cuore la protezione e la guarigione dell’altra persona: il cervello sente al di là dei contenuti, quindi se io voglio far sentire la vicinanza devo autenticamente sentirmi vicino e  connesso all’altro. Anche da dietro uno schermo (come è successo nei lockdown) possiamo e dobbiamo autenticamente stare vicini ai più giovani e fragili.

Educare è un dovere morale verso noi stessi, verso i nostri figli, i ragazzi, la società tutta. Lucangeli cita Don Milani e il suo “I Care”, il “a me importa di te” che passa per l’agire educativo, ed è un messaggio che fa sì che ognuno dei ragazzi trovi attraverso l’altro la via per la migliore esperienza del proprio sé.

Nell’educazione non è compreso il giudizio, ma nel non giudizio esiste però l’errare: il genitore deve funzionare come strumento di segnaletica, per accompagnare il figlio nell’evitare non tanto l’errore ma una sua replica, e dargli una strada. Ogni adulto educante deve saper proporre un percorso di “sfide ottimali”: quelle realistiche che rendono probabile la riuscita del passo successivo, e quindi il benessere e la salute del singolo.

L’atteggiamento del “Io mi interesso di te” dev’essere comunicato anche dalla polis nel suo complesso: come aria pulita e acqua pulita sono tra i fondamentali della salute fisica, anche la società deve essere pulita. C’è bisogno che il NOI dove tutti viviamo  non sia ostile e basato solo sulla competizione che sgretola. Il sistema civile deve imparare la grammatica del NOI, non solo in momenti di crisi sociale e sanitaria (come il contesto attuale) ma anche nella normalità:  una mamma deve sapere a chi chiedere nel quotidiano non nell’emergenza, per alimentare la salute, non solo per bloccare la malattia, ma per mantenere e alzare la salute dei propri figli.

Siamo tutti collegati, e quando qualcuno si isola (nonostante sia contro le leggi di natura) è un fallimento del NOI, non del singolo che si isola. Nell’isolamento ll’errore diventa di tutti.

Se siamo tutti collegati, la scienza deve essere al servizio di tutti, senza utilizzare linguaggi oscuri, ma scegliendo parole alla portata di tutti. La connessione delle reti sane è solidale: non perché si sostituisce ai singoli nell’affrontare le sfide, ma perché rende tutti “più solidi”, in grado di affrontare con resilienza ogni sfida e mettere in moto le potenzialità, che mettono un orizzonte al proprio presente.