LO SPAZIO DI GIOCO COME ARENA EMOTIVA

LO SPAZIO DI GIOCO COME ARENA EMOTIVA

Di Vittorio Randone, educatore 

 

#CAMBIAMENTO #EMOZIONI #CRESCITA #EDUCAZIONE NONFORMALE #CONSAPEVOLEZZA #EMPATIA #CONFRONTO #AGENCY EMOTIVA

 

Il presente contributo apre uno spazio di pensiero sul tema del Gioco affrontato dal programma radio Clubagogo di Aria – Spazi Reali. Il Gioco è una dimensione vitale dell’essere umano, che in ogni fascia d’età acquista un significato unico e particolare, così in adolescenza. Ecco perché rientra anche tra le teorie e metodologie sviluppate e applicate dalle scienze dell’educazione. 

 

  1. L’esperienza dell’associazione Eufemia all’interno del Centro d’ascolto Aria

A partire dal 2018, l’associazione Eufemia ha iniziato a collaborare con il Centro d’ascolto Aria; dapprima proponendo attività specifiche nei locali di Spazi Reali, successivamente entrando a far parte del partenariato con il Comune di Torino. Le attività dell’Associazione hanno avuto così modo di intrecciarsi con le pratiche del Centro: metodologie e strumenti differenti, uniti nell’approccio multidisciplinare, grazie alla condivisione di intenzionalità, luoghi di lavoro e di riflessione.

Uno degli strumenti più identificativi di quell’educazione non formale che caratterizza il lavoro di Eufemia è sicuramente il gioco: occasione di crescita e di apprendimento per l’individuo e per il gruppo, luogo sicuro per l’osservazione e la sperimentazione di scenari realistici e alternativi. 

All’interno di un servizio come Aria, dedicato alla promozione del benessere e alla prevenzione del rischio in adolescenza, il gioco si configura uno strumento innovativo, capace di creare nuove opportunità di incontro e confronto per i giovani.

L’obiettivo di questo articolo è raccontare in quale modo il gioco possa presentarsi come “arena emozionale”(1), una chiave di lettura per analizzare l’universo delle emozioni in relazione al comportamento collettivo e ai diversi contesti sociali. 

 

“All of us are set in our own little world view. We think we see the big picture but we all see a little slice of the world surrounding the lens. I would like to imagine that people have the opportunity to see a much wider set of perspectives on the world and that games might be the mechanism, the vehicle that brings that to them. We can take almost anything and make it a fascinating interactive experience. What I’m really doing is giving the player a toy and the player is turning it into a game”(2).

 

Nel testo sopra citato, l’autore del gioco “The Sims”, l’informatico e sviluppatore statunitense Will Wright, offre degli spunti interessanti per intendere il gioco come uno strumento utile a comprendere il mondo che ci circonda, una modalità di azione e di pensiero che permette alle persone di entrare in relazione con la complessità delle scienze sociali. Nel ripercorrere le sue parole, si percepisce quanto l’esperienza interattiva alla base del gioco sia uno dei modi principali attraverso cui le persone possono aumentare la propria consapevolezza rispetto alla realtà. Wright prende in esame il rapporto tra i giochi e le storie, e di come questi due elementi siano in grado di influenzare il nostro comportamento.

In linea con le teorie alla base del costruttivismo, giocare e raccontare sono azioni sociali che costituiscono, assieme all’esperienza derivante dai cinque sensi, le principali modalità di interpretazione del mondo. I personaggi, i contesti, gli avvenimenti, sono tutti elementi che possono essere estrapolati da una storia e trasformati attraverso il gioco.

In questo senso giocare non è altro che un modo per inventare altre storie, e da lì ancora nuovi giochi, delineando così un legame generativo reciproco. 

La stessa partecipazione che caratterizza lo sviluppo narrativo nei giochi, si riflette anche nel coinvolgimento emotivo dei partecipanti. Nell’analizzare il rapporto tra le storie e i giochi, infatti, Wright propone una differenza fondamentale: quella tra empathy e agency

L’ascolto di una storia, che sia attraverso la lettura di un libro o la visione di un film, provoca una reazione di tipo empatico: è la conseguenza di aver riconosciuto lo stato emotivo dei personaggi e di averlo proiettato su di sé. 

Il gioco, invece, prevede un coinvolgimento in prima persona. Non si tratta di vedere o ascoltare una figura che mette in scena e rappresenta un’emozione, ma di sperimentare uno stato emotivo causato da un’azione concreta, un gesto compiuto dal giocatore stesso. 

Una tipologia di attivazione che l’autore definisce agency emotiva

 

  1. Giochi ed emozioni, tra rischi e opportunità

Una forma di responsabilizzazione, quella dell’agency emotiva, che in parte spiega l’attaccamento emotivo alla base del cosiddetto effetto Tamagotchi, nome che deriva da uno dei giochi di maggior tendenza tra gli anni novanta e duemila. Nel 1996 il packaging del gioco riportava la seguente descrizione: “Tamagotchi is a tiny pet from cyberspace who needs your love to survive and grow. If you take good care of your Tamagotchi pet, it will slowly grow bigger, healthier, and more beautiful every day. But if you neglect your little cyber creature your Tamagotchi may grow up to be mean or ugly. How old will your Tamagotchi be when it returns to its home planet? What kind of virtual caretaker will you be?”(3). 

Le persone che acquistavano il gioco si trovavano messe di fronte alla possibilità di interagire con l’oggetto in un modo nuovo, sviluppando una relazione unica con il proprio virtual pet, a seconda del livello di attenzione e cura offerto. Tamagotchi fu così il primo esempio di forma tecnologica portatile disegnata specificamente per suscitare una risposta emotiva nell’utente(4).

Un altro esempio per analizzare il rapporto tra i giochi e le emozioni è Dungeons & Dragons (D&D), un gioco di ruolo creato nel 1974 che viene utilizzato per l’attività cooperativa, sociale, ricreativa e narrativa condivisa. I partecipanti in genere si siedono attorno a un tavolo usando carta, matita, dadi, regolamenti e mappe opzionali con miniature che rappresentano i loro personaggi. D&D si basa sulla fantasia e sull’immaginazione dei giocatori a cui viene chiesto di non solo di impersonificare dei personaggi costruiti da loro stessi, ma anche di inventarsi l’ambiente di gioco e di generare una storia a seconda delle scelte di ciascuno.

Essere inseriti in un contesto diverso dalla propria realtà da un lato necessita dall’altro stimola nei giocatori la capacità di comprendere le motivazioni, le emozioni, i modi di agire e le credenze di qualcuno diverso dalla persona stessa.

L’abilità di riflettere sugli stati mentali e di prevedere il comportamento altrui fa riferimento a quel costrutto che in psicologia prende il nome di “Teoria della mente”(5) ed è proprio questa che permette, secondo alcuni studi, ai giocatori di aumentare le proprie “perspective taking skills”, cambiare prospettiva per interpretare al meglio il proprio personaggio(6)

Tra gli anni Ottanta e Novanta, diversi episodi violenti contribuirono alla diffusione di uno stigma rispetto ai rischi connessi: alcuni casi di suicidio e omicidio vennero, infatti, collegati al flusso di emozioni e sensazioni derivanti dalla pratica di gioco. 

Da quel momento diversi ricercatori hanno studiato una eventuale connessione tra gli episodi, concludendo con la mancanza di prove sufficienti a determinare una causalità, ma con una correlazione tra lo stato di salute dei giocatori e le possibili dinamiche emotive scatenate dal gioco(7).

In generale si ritiene che il coinvolgimento emotivo sia una caratteristica rilevante nei giochi ed è proprio per questo che i game designer cercano di sfruttarle nel miglior modo possibile per raggiungere i loro obiettivi ed offrire agli utenti un’esperienza di gioco unica.

Le emozioni, infatti, sono tra i principali fattori che influenzano in maniera critica i processi decisionali dell’essere umano ed è per questo che un numero sempre maggiore di ricercatori si dedica ad analizzare la funzione regolatrice dei giochi.

 

  1. Il gioco come urgenza e motore di cambiamento

La composizione multiprofessionale dell’èquipe di Aria – Spazi Reali permette al servizio di offrire un supporto di tipo olistico, un accompagnamento alla consapevolezza di sé e al controllo sulle proprie scelte.

Percorsi di autonomia indirizzati a restituire spazi di potere, sia nell’ambito delle relazioni personali sia in quello della vita politica e sociale.  

Nel suo ruolo educativo il gioco manifesta, dunque, un potere trasformativo che può essere rappresentato grazie alle parole di Jane McGonigal, game designer e direttrice del Game Research and Development presso l’Institute for the Future, importante think tank no profit statunitense. 

Secondo la McGonigal sono quattro i “superpoteri” che le persone possono sviluppare attraverso il gioco.

Il primo è l’urgent optimism, un ottimismo impellente, che costituisce un’auto-motivazione eccezionale: il desiderio di agire immediatamente per affrontare un ostacolo, combinato con una ragionevole speranza di successo. I giocatori non solo credono sempre nella possibilità di una vittoria, ma sono anche più inclini ad apprezzare persone con cui hanno giocato. 

Il secondo superpotere, infatti, chiamato social fabric, è la capacità di intrecciare relazioni significative con gli altri giocatori, un tessuto sociale basato su quella fiducia che sottintende l’accettazione di regole comuni. 

Blissful productivity, è il termine che viene utilizzato per descrivere il terzo superpotere, una capacità produttiva derivante dalla proporzionalità diretta tra l’impegno dei giocatori e la soddisfazione derivante dal gioco stesso. Al crescere dell’impegno, cresce anche la soddisfazione e il senso di realizzazione.

Tutto questo è reso possibile dall’ultimo superpotere, l’epic meaning: i giocatori, infatti, sono sempre alla ricerca di storie avvincenti a cui affidarsi e missioni stimolanti a cui aderire.

Quanto più un gioco sarà stimolante, tanto maggiore sarà il coinvolgimento delle persone. Secondo Jane McGonigal, l’unione di queste quattro caratteristiche porta alla nascita di quelli che lei definisce “super-empowered hopeful individuals”, persone che credono nella propria capacità di trasformare il mondo.

Nell’ambito delle teorie psicologiche il richiamo è alla teoria del “Locus di controllo”, sviluppata da Julian Rotter, secondo cui esiste una disposizione mentale che le persone possono adottare in base alla quale si possono influenzare le proprie azioni e i risultati che ne derivano(8)

Ecco i motivi per cui il gioco rappresenta a tutti gli effetti una proposta di tipo psico-educativo: uno strumento che non può prescindere dalla messa in campo di tutte le competenze di cui dispone un servizio alla persona come il progetto Aria – Spazi Reali.

 

  1. Aree di miglioramento e sviluppi del gioco in Aria

 

Nel momento in cui il gioco ha fatto il suo ingresso all’interno di Aria (con due escape room a dicembre 2019 e febbraio 2020; la seconda interrotta per l’esplosione della pandemia da Covid19) l’accoglienza è stata molto calorosa da parte dell’utenza. La proposta, innovativa per il contesto, ha fatto sì che ci fosse un passaggio di persone interessate all’attività specifica, molte delle quali non erano mai state nella sede di Spazi Reali o non conoscevano il servizio.

Le basi della nuova co-progettazione includono la possibilità di sperimentare nuove tecniche e strumenti ed agganciare così fasce diverse della popolazione, magari in orari in cui gli spazi sono sottoutilizzati.

Proposte di gioco auto-conclusive, che pure lasciano spazio ad un approfondimento delle tematiche trattate, o del servizio tout court se viene riscontrato un interesse, favoriscono la conoscenza della proposta di Aria, dei luoghi e delle opportunità a disposizione della popolazione giovanile.

L’equipe di Aria ha invece avuto una reazione più moderata, complici due fattori principali: 

  1. I tempi dedicati e dedicabili, che spesso non si sono incastrati con le disponibilità lavorative.
  2. La poca dimestichezza con lo strumento e quindi un moderato scetticismo nella sua applicabilità ad integrazione del servizio.

In particolare l’introduzione di The Way I Am, tra giugno e settembre 2022 ha visto una fase sperimentale poco partecipata, a cui non è seguita una valutazione strutturata.

La proposta è quella di rilanciare l’esperienza di TWIA per analizzarne meglio le potenzialità e quindi capire se può essere integrata, come e in quali casi, all’interno del servizio, oppure non tenerla in considerazione perché marginale.

Negli ultimi mesi si nota comunque in Aria un graduale aumento dell’interesse e attivazione di proposte legate al gioco, segno che nell’equipe ci sono competenze in materia che aspettavano terreno fertile su cui sbocciare, con la speranza di radicarsi in pianta stabile.

 

Bio: Eufemia tra buone pratiche e percorsi sperimentali

Eufemia promuove dalla sua fondazione le mobilità internazionali per giovani come strumenti di conoscenza di sé e del prossimo, inteso in senso ampio ed interculturale, venendo queste realizzate principalmente in ambito europeo.

 Gli scambi internazionali, in particolare, consistono nell’incontro tra due o più gruppi di ragazzi di Paesi diversi per affrontare insieme un tema comune. Durante la settimana di vita comunitaria, i/le partecipanti hanno la possibilità di scambiare idee, confrontarsi, acquisire conoscenze e coscienza di realtà socio-culturali diverse tra loro. 

L’elemento principale alla base di queste proposte è il gioco, o meglio, un adattamento del ciclo esperienziale di Kolb su base ludica, in cui la fase esperienziale viene spesso condotta attraverso giochi di vario tipo, solitamente in gruppo.

I percorsi di crescita individuale vengono supportati dalla presenza di unə o più youth worker che affiancano i/le partecipanti nella fase preparatoria, durante la mobilità ed al rientro dalla stessa.

L’inserimento delle proposte all’interno di Aria fa sì che chi si avvicina al servizio per altri canali possa usufruire di questa opportunità di crescita e, al contrario, chi partecipa ad uno scambio possa scegliere di proseguire con altre attività del centro, approfondire il proprio vissuto con il supporto di figure professionali, condividere con coetanei la propria esperienza.

“The Way I Am” è un’attività sviluppata nel 2022 nell’ambito della prevenzione e della promozione del benessere, per indagare le relazioni interpersonali all’interno di un gruppo. Si tratta di uno strumento nato per facilitare la condivisione di esperienze personali e il confronto sui diversi vissuti emotivi.

La linea narrativa ripercorre il periodo della pandemia e del lockdown, tra gennaio e maggio 2020, ma offre la possibilità di adattare il format dell’attività a scenari differenti, per affrontare argomenti diversi.

L’attività è condotta da un operatorə che ha il compito di garantire uno spazio sicuro e privo di giudizio. Trattandosi di un’attività che prevede la facilitazione e la supervisione di un operatorə esterno, possono essere coinvolti gruppi di diverso tipo: dalle équipe di lavoro ai gruppi di amicə, ma anche persone che tra di loro non si conoscono. 

The Way I Am è stata proposta all’interno di Aria – Spazi Reali a diversi gruppi di operatorə per verificarne la bontà ed affinare la pratica, in previsione di un inserimento a pieno titolo tra le attività del centro, visti i numerosi punti di contatto e ponti che si possono creare sul tema del benessere e della salute mentale.

 

Note bibliografiche

(1) Mark Seymour, Emotional Arenas Life, Love, and Death in 1870s Italy, Oxford University Press, 2020
(2) Will Wright, Teaches Game Design and Theory, Masterclass.com, 2019
(3) Anne Allison, Millennial monsters: Japanese toys and the global imagination, University of California Press, 2006
(4) Laura Lawton, Taken by the Tamagotchi, How A Toy Changed The Perspective On Mobile Technology, The iJournal, 2017
(5) Ian Apperly, What is “theory of mind”? Concepts, cognitive processes and individual differences, The Quarterly Journal of Experimental Psychology, 2012
(6) Gideon Dishon, Making more of games: Cultivating perspective-taking through game design, Computers & Education, 2020
(7) William Hawkes-Robinson, Alienation and the game Dungeons and Dragons, Psychological Report, 1990
(8) Julian Rotter, Social learning and clinical psychology, New York, Prentice-Hall, 1954